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In linea generale, la scelta della tecnologia di dragaggio deve essere effettuata sulla base delle caratteristiche del sito e della caratterizzazione geotecnica e biochimica. Nelle realtà lagunari, poi, si pone la necessità di applicare il massimo rigore sia nel caso di rimozione di sedimenti ad elevato inquinamento, sia di dragaggi su bassi fondali, essendo evidente in tali casi il maggiore danno arrecato dalla formazione di torbide. Al fine di consentire un dragaggio efficace in termini di precisione di rimozione del sedimento (capacità di asportare chirurgicamente porzioni di fondale, ad esempio quelle caratterizzate dalla presenza di un determinato inquinante) e di ridotto impatto ambientale (minimizzazione della torbidità), Plant Engineering ha sviluppato, su richiesta ed in collaborazione con Trevi SpA, un dispositivo dragante mobile, detto Sludge Buster. L’elemento aspirante dello Sludge Buster è alimentato con acqua in pressione e funziona in maniera similare ai cosiddetti eiettori, sviluppati anch’essi da Plant Engineering. Questo elemento è collegato ad un cingolato anfibio semovente, dotato di piattaforma di servizio. Tale configurazione consente la massima flessibilità operativa, anche in relazione alla profondità del fondale da dragare. Il primo prototipo di impianto industriale, capace di trattare fino a 160 m3/h di sedimento, è stato progettato in collaborazione con Soilmec, azienda del gruppo Trevi, e realizzato da Soilmec stessa.

sb

Per rendere utilizzabile come infrastruttura portuale la superficie occupata dalle di colmata (a riempimento avvenuto) è molto spesso necessario incrementare le caratteristiche geotecniche dei sedimenti. Questo viene generalmente ottenuto consolidando l'ammasso tramite aggiunta di opportuni leganti. La stabilizzazione del materiale può essere fatta in una fase precedente o, in alternativa, in una fase contemporanea o successiva al refluimento. In quest'ultimo caso (intervento successivo), possono essere impiegate tecniche puntuali, che prevedono di trattare l'intero volume con trattamenti eseguiti con frese ad asse orizzontale o verticale. I principali limiti dell'applicazione della stabilizzazione puntuale dopo il refluimento sono: il costo complessivo del trattamento, le difficoltà logistiche (le aree di lavoro sono generalmente non transitabili), l'impossibilità di stabilizzare l'intera massa e, infine, tempi elevati per la consegna dell'opera. Infatti, operando sull'intero ammasso, risulta problematico ottenere un consolidamento omogeneo sia per problemi tecnologici, sia perché si utilizzano geometrie di punti trattati circolari o rettangolari che necessiterebbero di onerose sovrapposizioni delle aree trattate; inoltre, se risulta presente la membrana in HDPE, la stabilizzazione non può essere totale, poiché altrimenti gli utensili fresanti la danneggerebbero. Rimane, quindi, uno spessore di 0,50 - 1,00 m di sedimento non consolidato al fondo. Tale materiale può influire in maniera determinante sui cedimenti del piazzale sul medio-lungo periodo. Nel caso, invece, della stabilizzazione preliminare o contemporanea al refluimento, tutto il volume viene trattato in modo omogeneo prima della posa e le aree son fruibili immediatamente. Plant Engineering, su richiesta ed in collaborazione con Trevi SpA, ha progettato un impianto sperimentale per miscelazione del sedimento con leganti "in linea" contemporanea al refluimento in cassa di colmata. Tale tecnologia permette un'elevata produttività e una notevole omogeneità del materiale stabilizzato. Il metodo sviluppato, denominato Pneumatic Flow Mixing (PFM), è caratterizzato dal trasporto pneumatico del sedimento dragato e dalla iniezione in linea dell’additivo stabilizzante. Plant Engineering si è occupata della progettazione preliminare del primo prototipo di impianto ed ha fornito supporto alla progettazione definitiva ed esecutiva alla società Technosilos snc, azienda leader nel settore della realizzazione di impianti di trasporto pneumatico. In particolare, Plant Engineering, grazie al software TPSimWin, ha dimensionato i parametri fondamentali del trasporto pneumatico, che deve presentare determinate caratteristiche fluidodinamiche in grado di favorire il miscelamento del sedimento con il cemento. Il primo prototipo di impianto PFM, con una capacità nominale pari a 2 m3/h, è stato realizzato e testato a cavallo tra 2012 e 2013 con ottimi risultati.

PFM

Con il termine Jet Grouting si definisce l'operazione di iniezione nel terreno di una miscela cementizia, attraverso piccoli ugelli, con pressioni elevate (fino a 600 bar o più) al fine di consolidare i terreni di fondazione o per la formazione di diaframmi. L’elemento centrale del processo di Jet Grouting è il cosiddetto monitor, ovvero il volume in cui si realizza la deviazione del materiale in pressione dalla direzione assiale a quella radiale, verso gli ugelli di uscita.

jet

Su richiesta ed in collaborazione con Trevi SpA, Plant Engineering ha ideato, sviluppato, progettato e testato nuove metodologie per l’iniezione della miscela cementizia nel terreno con l’obiettivo di ridurre consumi energetici ed incrementare la produttività. L’attività sperimentale ha consentito di brevettare una soluzione innovativa per la realizzazione di un monitor in grado di minimizzare, rispetto allo stato dell’arte, le perdite di carico a parità di ingombri, senza penalizzare la produttività del sistema.

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